“Il dio del mare” di Pierluigi Cappello****

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“Il dio del mare” di Pierluigi Cappello****

La verità è che non scriverò questo post.
Perché è tardi e il tempo che mi avevano regalato è volato via, o forse non c’è mai stato.
Forse è sempre così, mi sa. Sembra che te lo regalino, ti chiamano, ti dicono, Oh, guarda che oggi cominci alle 11, quello là ha tirato pacco. E tu hai l’idea che ti abbiano regalato mille cose. Le mie, per esempio, erano: mi alzo alle 6, vado a correre, faccio la docciona galattica col balsamo, poi scrivo, faccio colazione, poi aggiorno il blog, mi ascolto quelli del concertissimo di ieri, poi… poi… poi niente. La verità è che ho compilato un modulo, ho bypassato otto sveglie, perché se vai a dormire alle tre è difficile alzarsi alle sei, ho letto 4-5 mail, e niente, finito. E’ ora di buttarsi sotto la doccia. La borsa, che sapientemente mi ero preparato ieri notte, mentre tiravo giù Orazio dall’albero da cui non sapeva scendere, la metterò in auto, forse stasera, forse, se finisce presto l’aperitivo, magari mi butto nel primo campo e corro. E del libro, questo libro, non so quando ve ne parlerò.
Me n’ero completamente dimenticato. Eppure è un libro bellissimo, che raccoglie interventi e prose di Pierluigi Cappello, come dice il sottotitolo. Un paio di cose le avevo anche lette, ma il resto no, e sono cose belle. Squarci di profondità nella superficialità del sapere d’oggi.
Insegnare e imparare, insegnare è imparare. Sono stati i miei motti e lo sono ancora. E pensieri come quelli raccolti in questo libro, il senso che c’è nell’aver capito qualcosa e la grazia che c’è nell’insegnarla a qualcuno, nel farlo partecipare, ecco sì, amo queste cose.
E voi riderete, ma è un po’ la stessa sensazione che mi piglia davanti a un esercizio di economia aziendale in cui tutto quadra, tutto è perfetto, e riesco a spiegarlo in modo così chiaro che mi metto lì, sognante, a dire allo studente: “Non è meraviglioso? Non è fantastica, questa partita doppia?”
Insomma… fa ridere, ma non fa ridere più se vi dico che è una cosa che vedo andare perdendosi.
Ma ora basta. Doccia e via al lavoro… E tornerò qui per il Dio del mare, e tutto ciò che si merita.
Era la verità, sì.
Non avrei finito il post. Ma ora sono qui e lo finirò. Vuoi perché voglio aggiornare il post. Vuoi perché devo prestare il libro a Marge, e prima di prestarlo voglio parlarne. E io senza libro non riesco a parlare del libro. Devo sfogliare, rileggere, ricordare. Servono a quello, le pagine. Se ci pensate bene è l’unico vero vantaggio che hanno nei confronti del digitale: essere sfogliati senza scroll. Lo scroll è una cosa cattiva. 
Ma ora basta. Parliamo del libro. 
Pierluigi Cappello: trovate tante cose, qui sul blog. Vuoi perché già mi piaceva prima, vuoi perché nell’ultimo anno, non riuscendo più a leggere narrativa, mi sono messo a leggere poesia. E lui era un poeta. Poi… dobbiamo venire a patti con la cosa di quando uno muore. 
E’ una cosa curiosa, questa del morire. 
E non dipende necessariamente dal valore e dalla quantità di ciò che lasciano.
Comincia che parte una sorta di entusiasmodoloroso. Questo è immediato. Poi entrano in gioco altre variabili, comprese quelle del momento e delle altre cose che accadono intorno, di altri morti, nonché il come va poi quell’entusiasmo: se diventa quotato, diciamo così. 
Per Cappello, credo, ci sia una variabile ulteriore, che mi fa perdonare certe cose, ma resta che oramai settimanalmente mi arriva voce di iniziative di recupero, in molteplici modi, della sua opera, delle sue parole, e anche, non so quanto sia sempre un bene, dei suoi passati rapporti umani e azioni. 
Libri, spettacoli, appuntamenti, letture… Di tutto. Bello. Sì. Ma cuietaisi.
Anyway, pensiamo a questo libro, oramai entrato nella collana dei Bur, e lasciamo perdere altro.
Il dio del mare, lo leggete già dal titolo, raccoglie suoi interventi in prosa – in lezioni, eventi, scritti –  dal 1998 al 2006. E senza menarla tanto, vi dico che è una operazione che va al di là del mero lucro raschiabarile post-mortem, perché gli interventi sono belli, profondi, e ti regalano quasi sempre un pensiero, un “Ohhh” di meraviglia, o semplicemente, ed è questo che si richiede, credo, a chiunque si occupi di poesia e narrativa (ma più narrativa, direi) una riflessione, una luce sulle cose.
Dare luce, quindi. 
Ci sono interventi brevissimi, come quello iniziale, (Non un milligrammo in meno) che parla di volgarità, seducente fenomeno che sta dominando il mondo di oggi. Interventi più lunghi, che spiegano dove nasce la poesia, dove si scelgono e vedono le parole, nel suo mondo rimaneggiato, eppure ricco, ricchissimo (La mela di Newton). C’è una lezione che mette dentro storia e poesia, storia e letteratura, Levi e Dante e la seconda guerra, in modo davvero magistrale. Se la spiegasserò così, la storia e la letteratura? Sarebbe difficile, certo, ma anche meraviglioso.
E poi c’è “Alla mamma il capo dei banditi” che ci esplode la scena di Ettore e Achille, facendo dell’epica greca pura emozione. 
Poi, se volete chiedervi come potrebbe nascere una poesia di Ungaretti, magari la più famosa, ecco che dovete leggere assolutamente “Bosco di Courton, 1918”. 

Mentre per me, che scrivo e parlo in due lingue, c’è una riflessione molto bella, che descrive il rap
porto tra tempo, dialetti e lingua che vince. Ecco… insomma… alla fine sono una sorta di lezioni di cultura, che fanno bene. 
Io vi lascio con l’ultimo scritto, che chiude il libro. Brevissimo. Lo copio qui, ché ci metto un attimo.

Una libreria dentro una stanza vuota, nel silenzio. Costola dopo costola file di libri allineati, metri quadrati di forza trattenuta. Dentro la stanza, piegato sulle pagine, un uomo immobile. Il silenzio come luogo dove tutte le parole sono possibili. L’immobilità come regione doe ogni gesto è concepibile.
Ogni libro è una voce in attesa di un corpo.

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